Nel 1963, ovvero esattamente 60 anni fa, usciva Blowing in The Wind di Bob Dylan che avrebbe cambiato per sempre la musica e la coscienza di tutti noi. Una canzone che fu ed è tuttora la bandiera dei diritti negati in un mondo che anche dopo 60 anni fatica a raggiungere quei livelli di civiltà che danno diritto ad ogni uomo di poter essere chiamato “uomo”. La prof. di Italiano ha proposto ai ragazzi del liceo di riflettere sulle parole di Blowing in The wind, ragazzi della generazione Z così distanti dai diciottenni del Movement degli anni 60 eppure così inaspettatamente vicini come sentirete da questo splendido tema di Nicoletta Salcuni, che tra l’altro omaggia il suo maestro delle elementari Claudio Scarabottini per avergli fatto conoscere e cantare questa canzone così bella che gli è rimasta per sempre nel cuore. Ecco il tema di Nicoletta.
Ho sentito questa canzone per la prima volta all’età di dieci anni, ne parlavamo a scuola e il maestro Claudio ce la fece cantare alla recita di fine anno.
I nostri genitori sorridevano udendo le nostre voci e, a ogni strofa, ci guardavano per garantirci quella sicurezza di cui ogni bambino lì su quel palco aveva bisogno. Credo che pochi di noi bambini i quel momento abbiano colto la vera essenza delle parole del “poeta”, ma una volta a casa la canticchiavamo tutti proprio come fosse un tormentone dei nostri giorni.
Devo ringraziare mio papà per aver coltivato ciò che il maestro Claudio aveva seminato in tutti noi e, probabilmente, per altri quel seme è ancora sotto terra ad aspettare un po’ di acqua.
Non ho mai perso l’abitudine di ascoltare questa canzone, con le cuffie alle orecchie, guardando fuori dalla finestra nelle giornate piovose, e ogni volta penso al suo significato, a quanto le persone lottino ogni giorno per i loro diritti, per un pezzo di pane, mentre il nostro problema sorge quando ci si scollega il Wi-Fi. La magia della voce di Bob Dylan che graffia le casse del cellulare e la maestria con cui suona l’armonica passano in secondo piano se pensiamo all’importanza delle parole: “How many roads must a man walked down, before you can call him a man?”, “Quante strade deve percorrere un uomo prima che lo si possa chiamare uomo?”.
Dal 1963 fino al giorno d’oggi non ci sono stati particolari miglioramenti, sì, possiamo di certo dire che il razzismo sia diminuito, per fortuna non ci sono quartieri o bagni che gli uomini di colore non possano frequentare e gli omosessuali non hanno bisogno di nascondersi per amarsi, tuttavia, analizzando l’altra faccia della medaglia, dobbiamo ammettere che in ogni uomo si presentano improvvisi sintomi di arretratezza e che molto paesi tentano di oscurare e nascondere guerre, catastrofi e omicidi, il che è buffo perché è evidente che si rendano conto loro stessi che ciò che fanno sia infantile e sbagliato.
Bob Dylan è riuscito a centrare a pieno il tema dei diritti e poche strofe raccontano tanto.
“Quante volte devono ancora volare le palle di cannone prima di essere per sempre bloccate?”, ”Quanti anni possono esistere alcune persone prima di ottenere il permesso di essere libere?”. “La risposta, mio amico, sta volando nel vento”.
La canzone parla di persone che sono prigioniere di altre persone, parla di distruzione, di persecuzioni… Problemi per i quali la risposta la troviamo nel vento, la risposta è sopra i nostri occhi e sta volando libera nel cielo, ciò significa che la soluzione ai nostri problemi ce l’abbiamo e molte volte la ignoriamo, mentre è proprio sopra di noi. E’ un circolo vizioso. Uomini potenti controllano, mortificano e negano diritti ad altri meno potenti di loro, ma ciò che non capiamo è che, all’essenza, siamo tutti uomini e siamo tutti uguali.
Brava Nicoletta, hai avuto va e scelto dei grandi Maestri….e tu stessa lo diventerai.
Ciao Nicoletta è da 50 anni che seguo Bob Dylan lo ascolto ancora oggi e non si può smettere
Brevissima Nicoletta, complimenti !!!
Complimenti Nicoletta