Una piazza che balla al ritmo tribale
Non c’è storia. Il concerto di Angélique Kidjo in piazza Duomo resterà impresso nella memoria della città, che già dai primi pezzi è incantata dal ritmo magnetico di sonorità antiche, eppure modernissime. Angélique Kidjo, forse la più famosa artista africana vivente, sale sul palco con un abito variopinto di colori caldi, abbinato ad un turbante di seta tipico della sua terra.
Con un’energia incredibile “Mama Africa” presenta al pubblico i suoi successi storici, accanto alle canzoni dell’ultimo lavoro “Mother Nature” del 2021. La diva del Benin ha la danza nel sangue, intreccia passi tribali e movimenti sensuali, chiama a raccolta il suo pubblico al ritornello “Ashè é Maman, Ashè é Maman Afririka”. La piazza si diverte ma al tempo stesso riflette. Perché i testi di Angélique Kidjo sono profondi e affrontano temi di grande attualità: la dignità di ogni creatura vivente, il rapporto armonico tra l’uomo e la natura, la fragilità dell’ecosistema Terra, la condizione femminile, i retaggi drammatici delle politiche coloniali.
E anche attraverso le sue canzoni la figlia del Benin denuncia con lucida consapevolezza come il colonialismo – con la sua politica di sopraffazione – abbia condannato l’Africa al ruolo di Terzo Mondo, soffocando al contempo le sue civiltà millenarie. Proprio alla bellezza della sua terra Angélique Kidjo intona un appassionato inno d’amore, trasmettendoci tutto il calore e la straordinaria carica vitale di quel crogiuolo di popoli e storie. “Connettersi” a livello umano nel comune rispetto del pianeta diventa così la parola d’ordine e l’artista africana dà l’esempio, avvicinandosi al pubblico in estasi e battendo le mille mani che cercavano di sfiorare la sua.
Angélique Kidjo esce tra l’ovazione generale, dopo avere regalato il suo bouquet.
Pochi minuti dopo scenderà le scalette verso Piazza della Signoria, affiancata da un’altra protagonista del Festival, una splendida Barbara Hannigan in bianco, per proseguire la serata a Spoleto come due amiche che si ritrovano dopo un lungo silenzio.
Lucia Romizzi