E’ innegabile. In questi giorni di nuovo lockdown la lettura può essere una risorsa preziosa per molti di noi. Per portare un po’ di bellezza nella nostra vita, per proiettarci in mondi lontani o diversi dal nostro, per vivere nuove emozioni attraverso quelle dei personaggi che incontriamo. E così possiamo scoprire dei libri che ci trasmettono fiducia nel futuro e speranza per quello che ci attende. Libri che portano in sé un messaggio di luce. Libri come quelli di Simona Sparaco, autrice dei bestsellers “Nessuno sa di noi” (2014) e “Nel silenzio delle nostre parole” (2019), candidato al Premio Strega.
Abbiamo avuto il grande onore di parlare al telefono con Simona di un suo bellissimo romanzo, “Se chiudo gli occhi” (2014), e del suo ultimo libro, “Dimmi che non può finire”. Buona lettura!
Simona, il tuo romanzo “Se chiudo gli occhi” parte da un viaggio tra un padre e una figlia.
Sì, nel libro racconto la storia di Oliviero, un artista diventato famoso negli anni Settanta, e Viola, che ha un lavoro di ripiego e una vita che non la soddisfa. Sono padre e figlia, ma in realtà lei non lo conosce: Oliviero ad un certo punto è scomparso dalla sua vita e in seguito Viola si è sempre difesa da questo personaggio imprevedibile. L’ha tenuto fuori per autodifesa e per paura di un nuovo abbandono. Un giorno Oliviero chiede a Viola di accompagnarlo a Montemonaco e lei accetta. Per conoscerlo. Per capire. E perché un giorno vorrà raccontare alla sua bambina la verità sulla sua storia. Qualcosa logora Viola, sente di non avere amato abbastanza. Sente di non essere stata sincera con se stessa e con sua figlia.
La vicenda è ambientata sui Sibillini. Che cosa ha di così magico per Te questo territorio?
Amo moltissimo i Monti Sibillini, una terra antica, con una complessa mitologia dai forti valori simbolici, relativi alla figura della Sibilla appenninica, ma non solo.
Ho ambientato la storia sul Monte Sibilla, che è la montagna sacra delle Marche e sulla cui sommità era collocata la grotta sacra alla profetessa, nota già dal Medioevo.
Sono marchigiana di origine e ho trascorso moltissimo tempo nell’area dei Sibillini, di cui ho scoperto gli angoli più incantati grazie ad uno zio, a cui sono molto legata. Mi sono ritrovata molte volte tra quelle montagne e mi sono chiesta come mai fossero così poco conosciute nella loro incredibile dimensione.
Eppure, quando ho iniziato a scrivere il mio romanzo, ero dall’altra parte del mondo, a Singapore. Forse proprio la lontananza ha innescato in me la volontà di recuperare le mie radici. Di riscoprire il fascino di quella terra antica, venata di magia, in cui era ancora possibile vivere un rapporto autentico con la natura. In seguito mi sono ritrovata molte volte tra quelle montagne e mi sono chiesta come mai fossero così poco conosciute nella loro incredibile dimensione. Eppure i borghi sono bellissimi e Montemonaco, con le sue viuzze e i suoi silenzi, potrebbe essere la location perfetta per un film.
Proprio sui Sibillini nel romanzo succede qualcosa di molto particolare…
Sì, sui Monti Sibillini le vicende di un antico amore si intrecciano con la volontà di dare voce a qualcuno che non ha più voce. Lo scopo del viaggio di Oliviero è parlare con una donna che vive a Foce, un paesino incastrato tra le montagne, una donna che sembra avere il dono di parlare con le persone che “dormono”. Secondo antiche leggende i Sibillini nasconderebbero un segreto, quello delle Sibille guaritrici di cui portano il nome, donne guaritrici, simbolo di una forza salvifica capace di purificare il cuore e restituire luce e speranza alla vita. Non entro in merito sugli ulteriori sviluppi della storia, però posso dire che questo viaggio, nel quale assistiamo alla ricostruzione del rapporto tra padre e figlia, cambierà per sempre la vita di Viola.
Ne “Se chiudo gli occhi”, un padre rientra così improvvisamente nella vita della figlia, per farle conoscere il mondo al quale lei davvero appartiene. Nella nostra vita tutto avviene nel momento preciso in cui possiamo davvero comprendere che cosa ci rende felici?
Nei libri questo avviene, credo che possa essere così anche nella nostra vita. A volte commettiamo degli errori che ci sembrano irrimediabili, compiamo scelte sbagliate o ci lasciamo scivolare le occasioni dalle dita. Forse non dovremmo addolorarci troppo per questo: a volte il significato di alcuni eventi e di alcune situazioni, anche negative, lo comprendiamo a posteriori. A volte dobbiamo conoscere anche il sapore del rimpianto perché ci aiuta a crescere. Ognuno deve fare le sue esperienze, è l’inconscio stesso che ci porta a vivere delle situazioni, che dobbiamo maturare. E così Viola consente al padre di tornare quando è pronta ad accoglierlo e a perdonare.
Il tema del viaggio, con tutte le sue valenze simboliche, è una chiave di lettura importante nel tuo libro. Però ce n’è un’altra di grande fascino, che gravita attorno alla ‘riscoperta del femminile’.
In effetti nel romanzo il padre guida la figlia alla riscoperta delle proprie radici, consentendole di conoscere questo mondo femminile magico e salvifico a cui anche lei appartiene. Il mondo marchigiano ha conservato a lungo questa componente matriarcale e nelle zone più isolate ancora la conserva. Come testimoniano anche gli studi antropologici, il passaggio da una società fondata sul ‘femminile’ ad una che vede il prevalere dell’elemento maschile coincide con la scoperta delle armi e con l’introduzione della guerra. In alcune aree più povere e isolate questo passaggio non è mai avvenuto, così si è conservata vivida la memoria della società matriarcale originaria.
Quale messaggio hai voluto trasmettere con “Se chiudo gli occhi”?
Amo definire questo romanzo il mio “libro magico”, perché cerco di ricostruirvi il misticismo che è nascosto in ognuno di noi, con le nostre ascese e le nostra cadute. Abbiamo dentro di noi la capacità di rialzarci e di elevarci perché, come sanno i vecchi saggi che risalgono le montagne sacre come quelle dei Sibillini, nel pianeta non ci sono orizzonti invalicabili. E salire è come lasciarsi cadere: in ogni caso è necessario il più assoluto abbandono.
Simona, passiamo al tuo ultimo romanzo. Ne “Dimmi che non può finire” Amanda è convinta di conoscere la data della fine di ogni cosa bella della vita che le capita. In pratica rinuncia a vivere e non si concede di essere felice, poi qualcosa cambia e quello che sembra indicare la fine potrebbe invece indicare l’inizio. E’ davvero possibile modificare la nostra forma-pensiero?
Il concetto di ‘forma-pensiero’ è complesso, trascende la dimensione religiosa per proiettarci in una sfera che tocca l’ambito psicanalitico e anche esoterico.
E’ documentato scientificamente che ci attiriamo quello che pensiamo, compresa la sofferenza (pensiamo alle leggi di Murphy). Molte persone ‘si accomodano’ nel loro dolore, che paradossalmente assume il valore di zona comfort. E hanno paura di abbandonare questa zona comfort, perché la conoscono e sanno muoversi in essa. Come se la felicità in qualche modo li spaventasse e non sapessero adattarsi ad essa. Queste persone hanno paura di essere felici perché credono di non meritare la felicità.
Per la protagonista i numeri non sono elementi astratti ma simboli concreti, che concorrono alla definizione del mondo. E nel sistema costruito sui numeri la protagonista sembra rimanere ingabbiata fino alla risoluzione finale. Ci si chiede se quello di Amanda sia un super-potere o una profonda convinzione. Amanda è un personaggio spaventato dalla vita, è fragile, preferisce non scommettere sul futuro, si tira indietro perché quando una cosa bella le capita è convinta di sapere quando finirà. E questo suo superpotere la porta a scegliere tutte vie di mezzo: non l’amore importante, non il lavoro che vorrebbe. Ci vuole coraggio per essere felici, per decidere di essere felici, per smettere di pensare in negativo.
Nel romanzo compare un piccolo protagonista, che ci commuove per la sua tenerezza: è il bambino di 7 anni a cui Amanda deve insegnare la matematica. Quale è la tua idea di infanzia?
Quella di Samuele è una figura di grandissima dolcezza, per la quale mi sono ispirata a mio figlio, che ha più o meno la sua età. Con il lockdown dello scorso inverno siamo vissuti praticamente in simbiosi. Questo mi ha fatto rendere conto di quanto sia importante guardare il mondo attraverso gli occhi di un bambino, che con la sua purezza e la sua sincerità aiuta la protagonista a superare le sue paure.
Nel libro Samuele con il suo sguardo diretto sulle cose, con la sua purezza e la sua sincerità, aiuta Amanda a superare le sue paure, insegnandole molto. Così ha fatto mio figlio con me.
Sicuramente gli adolescenti sono una delle categorie che ha più risentito delle conseguenze psicologiche del lockdown. I nostri ragazzi sono sempre più fragili e molti di loro hanno difficoltà a intravedere la luce alla fine del tunnel.
Condivido questa riflessione. Gli adolescenti sono in una fase della vita in cui dovrebbero fare mille esperienze ed essere liberi. Ora sperimentano una condizione di ‘arresto domiciliare’, in un momento in cui dovrebbero misurarsi con la vita. Però voglio dare loro un messaggio di speranza. Nessuna difficoltà è eterna, c’è il vaccino, che per fortuna abbiamo trovato in fretta. Quello che stiamo imparando in questo momento ci aiuterà a vivere in futuro più liberamente, con maggiore consapevolezza e rispetto per tutti per gli altri. E’ una lezione per tutti. E questa nuova generazione di ragazzi avrà le spalle ancora più larghe di noi, una volta superato questo momento. Perché questo momento finirà. E’ sicuro.
Lucia Romizzi