Spoleto7film: “The Brutalist” A. Grallinu

Premetto di aver completato la scrittura del seguente commento precedentemente alla giornata degli Oscar (nella notte tra il 2 e il 3 Marzo), che hanno visto la pellicola di cui parlerò vincitrice di diverse statuette (tra cui miglior attore protagonista e migliore colonna sonora). Conoscendo oramai dunque gli esiti delle premiazioni, vi invito comunque a leggere quanto segue e a recuperare il film se possibile. Buona lettura.
Da un angusto gioco di vicoli, confusi e di indistinguibile provenienza, Laszlo Toth, ebreo ungherese sopravvissuto all’olocausto, intravede per la prima volta la Statua della Libertà: quale se non il simbolo architettonico della libertà per eccellenza ad accogliere l’architetto Bauhaus verso il tanto bramato sogno americano? I primi minuti di film ci pongono già di fronte all’imponenza monumentale della messa in scena dell’ultima pellicola firmata Brady Corbet alla regia e Mona Fastvold (Corbet annesso) alla sceneggiatura (che scorre come il naturale flusso di un fiume senza far mai pesare il massiccio minutaggio di tre ore e mezza). Per un buffo gioco di parole, è più che legittimo definire il film monumentale nella sua completezza, considerando la centralità dell’architettura all’interno della vicenda, con una regia che gioca con il brutalismo a schermo rendendone la composizione stessa. Ogni inquadratura e movimento di macchina sembra fatto per restituire le caratteristiche della corrente artistica. La pellicola, nominata a dieci candidature Oscar, è stata realizzata con un budget pressoché minimo di 9.6 milioni di dollari che rende quest’opera ancora più sbalorditiva. L’intero cast mostra delle prove attoriali eccellenti, a brillare è è un immenso Adrien Brody (Laszlo Toth), una grande Felicity Jones (Erzsebet Toth) e un fantastico Guy Pearce (Van Buren), perfettamente calati nei ruoli. La colonna sonora, a cura di Daniel Blumberg, risuona nelle casse toraciche dello spettatore: minimale ma pomposa, riempie la cornice delle immagini ogni volta che ve n’è bisogno. Un viaggio all’interno della mente di Laszlo Toth che si materializza nelle sue stesse creazioni, la finale evanescenza del dolore nell’inseguimento all’interno della struttura (per la quale impiegherà ogni sua fibra nel compimento della stessa) dei detective, che sgusciano insidiandosi nei cunicoli della mente del folle genio di Toth alla ricerca di qualcosa (o qualcuno) di ormai smaterializzato.

È inoltre importante puntualizzare la forte carica politica, in quanto la pellicola non si preoccupa di porre sotto i riflettori il comportamento suprematista dell’uomo americano e, a favor di narrazione, giunge un personaggio chiave sotto questo aspetto, il cugino Attila (Alessandro Nivola), che rappresenta per eccellenza il risultato del processo di americanizzazione frutto dell’incalcolabile quantità di problematiche del paese e del cittadino americano, tra le quali un razzismo più che radical (radicato e radicale). L’unico ebreo a non venir trattato da tale in quanto ormai legato da uno sposalizio completo della cultura americana: la sua religione è cambiata, ora ebreo ora cristiano cattolico, la sua pronuncia dell’inglese è migliore degli americani stessi, il suo modo di atteggiarsi, si rifà all’americano vero. Il paese dove tutto è possibile circoscrive la possibilità ai soli americani.
Ma nonostante gli innegabili pregi della pellicola, stendere un commento a riguardo si è dimostrato complesso, poichè a distanza di giorni dalla visione, man mano che andavo sminuzzando, digerendo e processando ciò a cui ero stata sottoposta, la stasi iniziale è andata scemando per dar spazio a forti dubbi: pomposità alle volte stucchevole, una certa ridondanza in determinati punti, dei personaggi secondari poco approfonditi e il trattamento di dinamiche frettoloso o al contrario inutilmente complesso. Anche il rapporto di Laszlo con la moglie rimane indecifrabile e fastidioso. Un gran peccato.
Nonostante ciò, porgo un invito a visionare da sé il film e trarne le proprie conclusioni. I pregi visivi, stilistici e sonori sono innegabili, tuttavia non mi soddisfano del tutto e anzi, trovo altre opere in concorso decisamente più interessanti sotto molti, moltissimi aspetti. Non mi sento di dire altro in quanto vorrei che foste voi, recuperandolo, a trarre le vostre considerazioni, di certo non si sta parlando di un film semplice, e imbastire il discorso di fronzoli non servirebbe a molto, se non a confondere e anticipare vicende chiave della trama.
Detto ció, buona visione!

Andrea Grallinu

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