La Sala Pegasus è fresca di annunci e ci dona un regalo davvero speciale: un importantissimo omaggio alla monumentale arte del maestro regista, sceneggiatore, montatore e produttore giapponese Akira Kurosawa, attraverso cinque capolavori dell’immenso sensei:
“I Sette Samurai” (Dom. 19 Gen. ore 10:00/Lun. 27 Gen. ore 17:00)
“Cane Randagio” (Dom. 26 Gen. ore 11:00/Lun. 27 Gen. ore 18:00)
“Vivere” (Dom. 09 Feb. ore 11:00/Lun. 10 Feb. ore 18:00)
“Yojimbo” (Dom. 16 Feb. ore 11:00/Lun. 17 Feb. ore 18:00)
“Sanjuro” (Dom. 23 Feb. ore 11:00/Lun. 24 Feb. ore 18:00)
Poiché a livello storico si tratta di una delle figure più influenti e rivoluzionarie dell’arte cinematografica (verrà copiato da mille altri dopo di lui tra cui dal nostro connazionale Sergio Leone, con il quale avvierà un processo legale per motivi di copyright dovuti a scene pressoché identiche tra “Yojimbo” e “Per un Pugno di Dollari”) ho deciso di proporvi un breve (per quanto consentito) briefing sulla figura di Kurosawa, sulla sua vita, sulle ragioni che lo hanno condotto alla “hall of fame” del cinema, per convincervi nel godervi i sopraelencati meravigliosi titoli in sala.
Akira Kurosawa nasce nel 1910 nel distretto Ōmori di Tokyo. Il padre reputa l’arte filmica molto importante a livello formativo (così come il teatro e la pratica degli sport, soprattutto delle arti marziali, fondamentali nella creazione delle sue opere cinematografiche e delle quali veniva ritenuto un capace maestro), perciò fin dall’età di 6 anni il piccolo Akira verrà educato alla visione di pellicole regolarmente. Oltre a questo, un fondamentale pilastro per ciò che poi diverrà Kurosawa è suo fratello maggiore Heigo, il quale lavora nelle sale cinematografiche di Tokyo svolgendo la professione del Benshi, il commentatore in tempo reale dei film muti proiettati. A causa dell’arrivo del sonoro (il 5 ottobre del 27 con “The Jazz Singer”), Heigo entrò in una profonda crisi lavorativa che lo condusse all’atto estremo, togliendosi la vita nel 1933.
Nel 1935, due anni dopo la dipartita dell’amato fratello, Kurosawa mette da parte il suo desiderio di un futuro nel disegno e partecipa alle prove di assunzione come assistente alla regia per il P.L.C.P, che in seguito diverrà il celebre Studio Toho (lo studio che portò “Godzilla” sui grandi schermi per intenderci), nel quale lavorerà per 5 anni e dove farà la conoscenza di Kajiro Yamamoto, regista affermato nel paese il quale coglierà il potenziale di Kurosawa, spronandolo nella realizzazione di opere e facendo capire al suo giovane aiuto regista l’importanza della sceneggiatura. In questo modo, Kurosawa prende il via e nel 1942 realizza il suo primo film intitolato “Sugata Sanshiro”, tratto dall’omonimo romanzo del quale acquista i diritti per la realizzazione della pellicola. La storia parla di un ragazzo che attraverso la pratica del judo cresce non solo in forza, ma anche nello spirito. Dato l’impatto che ebbe l’attacco di Pearl Harbor un anno prima e la conseguente entrata in guerra da parte del Giappone, la realizzazione del film non fu così semplice. Il sensei dovette fronteggiare con la forte censura che infestava il cinema e non solo, come l’impossibilità di utilizzare influenze occidentali o il divieto di criticare in qualsiasi modo il governo. Fu una fortuna che il film esaltasse la pratica del judo (disciplina nazionale), i valori nazionalistici e il patriottismo. Per l’approvazione della pellicola svolse un ruolo cruciale il grande maestro e cineasta Yasujiro Ozu (creatore di opere come “Viaggio a Tokyo”, “Tarda Primavera”, “Il Gusto del Sakè”), che mise una buona parola per il giovane Akira. Ad ogni modo, nonostante le difficoltà, il film risultò un successo critico e commerciale, che rese possibile l’avviarsi di una brillante carriera per Kurosawa (il seguito di “Sanshiro Sugata”, “Una Meravigliosa Domenica”, in cui collaborò per la prima volta col suo fidato Toshiro Mifune, l’“Angelo Ubriaco”).
Ma tutti gli uccellini devono abbandonare il nido. Kurosawa fonda così la propria unità di produzione completamente indipendente insieme ai suoi soci Taniguchi, Yanamoto e Naruse, la “Film Art Association”. E’ qui che giungiamo al secondo film interessato nella proiezione della Pegasus e secondo film della neonata casa di produzione (consequenziale a “Il Duello Silenzioso): “Cane Randagio” (1949), un noir poliziesco ambientato nel Giappone del dopoguerra, film dalla forte carica neorealista e prima collaborazione con lo sceneggiatore Kikushima, il quale contribuirà ai successivi 8 film del regista. Il film è importante da un punto di vista storico in quanto considerato da molti precursore del genere yakuza, innovatore per l’introduzione di tecniche di inquadratura dinamiche, per l’utilizzo del montaggio rapido nelle scene d’azione classico del regista e per la costruzione della tensione attraverso la cinepresa.
Il film successivo a “Cane Randagio” fu un film accolto neutralmente dal pubblico giapponese, ma che gli valse la vittoria del “Leone d’Oro” alla mostra cinematografica di Venezia del 1951: “Rashomon”. Akira Kurosawa era ormai un faro del cinema internazionale.
Ora, siccome riempirvi di informazioni risulterebbe del tutto controproducente per le intenzioni di questo modesto articoletto, concentriamoci per l’appunto sui rimanenti film in programmazione alla Pegasus, in modo da potervi sollazzare l’appetito!
“Vivere” del 1952 è un film che si basa sulla novella dello stesso Kurosawa. La trama, come tutte le trame dei film del sensei, è semplice da raccontare: un uomo di nome Kanji Watanabe, un impiegato statale, viene a conoscenza di una malattia terminale che lo affligge. Decide quindi di sfruttare il suo stato fisico per trovare il modo di dar senso alla propria vita, diventando un esempio per la gente che lo circonda. Dunque, il film riveste un ruolo importante nella filmografia del regista in quanto simbolo della transizione tematica, dall’azione alla riflessione e all’introspezione. Lo stile sobrio contrasta con quello dei film precedenti, e si dimostra una profonda ricerca del significato della vita, un tentativo di comprensione della natura umana, delle sue bellezze e delle sue fragilità.
“I Sette Samurai” (1954) è certamente una delle opere più influenti del cinema. La trama affronta la storia di un piccolo villaggio contadino che decide di assoldare dei Ronin (samurai senza padroni) per potersi difendere dalle continue visite di un gruppo di banditi i quali ciclicamente saccheggiano e depredano il villaggio dei suoi pochi averi. In questo film vediamo il ritorno di uno dei grandi collaboratori di Kurosawa, Toshiro Mifune, nei panni del samurai Kikuchiyo, e l’introduzione di innovazioni tecniche non da poco: i movimenti di macchina dinamici che danno enfasi ai combattimenti, le riprese di campi lunghissimi come nessuno prima d’ora e di primissimi piani, ripresi assiduamente proprio dal western. La narrazione risulta pionieristica per l’alternanza di scene action e scene di riflessione sul sacrificio, sulle responsabilità. Dona un’elevazione a ciò che era stato fino ad allora il genere “Jidaigeki” (filone narrativo storico giapponese) e di fatto diverrà modello di numerosi film d’azione, di guerra e western. Il film verrà poi preso da Sturges e riinterpretato nella pellicola “I Magnifici Sette”, dove i samurai vengono sostituiti dai cowboy.
“Yojimbo” del 1061, seguito da “Sanjuro” l’anno successivo, racconta di un samurai vagabondo chiamato per l’appunto Sanjuro (Toshiro Mifune) alle prese con una città in guerra a causa di due bande. Il samurai si offre come mercenario, facendo il doppiogioco per trarre profitto da entrambi gli schieramenti. Il personaggio di Sanjuro diventerà un archetipo nel cinema d’azione, raffigurando l’eroe solitario mosso dai propri principi morali. “Yojimbo” attinge a piene mani dal western di John Ford, del quale Kurosawa si riteneva un grandissimo ammiratore e conoscitore, adattando quindi le influenze al contesto giapponese. Le sequenze di combattimenti coreografati e i campi larghi rimangono impressi fin dalla prima visione, e il trattamento delle tematiche quali la vendetta, l’egoismo e la giustizia vengono affrontati in modo ironico e distaccato, al contrario del sequel “Sanjuro”, dove troviamo una narrazione dai toni affinati, con momenti di maggiore riflessività e uno sviluppo dei personaggi superiore. Oltretutto, la fotografia della seconda pellicola accentua il contrasto tra buio e luce, ed è visibile una fluidità registica superiore al primo film.
Per quanto magari possano risultare distanti da voi i film di cui abbiamo parlato fino ad ora e per quanto voi possiate credere di aver poco a che fare con il genio di Akira Kurosawa, il citazionismo pervade le pellicole pop e mainstream in diverse salse. Per farvi un esempio: George Lucas nella scrittura di “Star Wars” si ispirerà moltissimo al film “La Fortezza Nascosta” del maestro. Ci sono diverse sequenze che riprendono quelle di Kurosawa e vi basterà una veloce ricerca su YouTube per notare la quantità di video che mettono a confronto le scene fra loro. Rimarrete sbigottiti dalla quantità di reference delle quali non eravate a conoscenza. Detto questo, non posso che augurarvi una buona ed entusiasmante visione. Non potrete rimanere delusi davanti alla sapiente messa in scena del maestro Akira Kurosawa.
Andrea Grallinu