Il crollo di un mondo ne “Il giardino dei ciliegi” di Leonardo Lidi

Il crollo di un mondo ne “Il giardino dei ciliegi” di Leonardo Lidi

Il rumore assordante delle motoseghe. I rami che cadono. Il frastuono implacabile della distruzione. Questo mi sono immaginata alla fine dello spettacolo “Il giardino dei ciliegi” di Anton Čechov, allestito al Festival dei Due Mondi da Leonardo Lidi con una regia coraggiosa e disturbante. Dalle prime scene tutti i personaggi hanno spiazzato il pubblico in sala con la loro sgradevolezza, accentuata da un look anni Novanta quanto mai trash e culminata nelle scene recitate in costume da bagno.

Ogni personaggio è portavoce di una sua istanza individualistica, che non sembra avere la forza di realizzare, e si ripiega in una inettitudine senza scampo. E così alla protagonista, Ljuba, che, coperta di debiti, dovrà vendere il suo magnifico giardino dei ciliegi al primo speculatore edilizio, resterà solo la nostalgia del tempo che fu nel teatro (Melisso) fisicamente scarnificato, ormai privo di fondali e di quinte.
“Il giardino dei ciliegi” è stato composto da Čechov, nel 1903, un anno prima della morte, ed era stato concepito come un testo malinconico ma leggero, non come un dramma sociale. Eppure i registi che lo hanno allestito ne hanno conservato una lettura fortemente impegnata, Lidi incluso, anche se a tratti alleggerita da momenti di humour (in questo caso il signore elegante sulla sedia a rotelle, spettatore obbligato delle piccole follie dei personaggi).

E così possiamo leggere “Il giardino dei ciliegi” a più livelli: in una prospettiva più intimista cogliamo la nostalgia per l’infanzia e l’innocenza perduta (quelle incredibili ciliegie dal sapore mai più ritrovato) ma in un’ottica storica è impossibile non percepire la fine di un’epoca. Non a caso, quattordici anni dopo, le due rivoluzioni del 1917 avrebbero cancellato secoli di zarismo e anche l’arrogante borghesia simboleggiata da Lopachin sarebbe stata fondamentalmente spazzata via. La girandola di rapporti umani, spesso disfunzionali e patologici, è esasperata nella resa registica di Leonardo Lidi, con la conseguenza che nessuno dei personaggi, neanche quello più discreto, coglie fino in fondo la nostra simpatia.

E forse anche a noi spettatori dispiace che il giardino dei ciliegi sia abbattuto perché il nuovo che avanza non promette nulla di buono nella sua squallida forma lontana da ogni kalokagathìa.
Lucia Romizzi