Lo storico calzolaio ha chiuso i battenti la scorsa settimana. Sergio Grifoni gli ha dedicato un pensiero per ricordare i tanti anni della sua attività, diventata uno dei simboli della città
“Ieri pomeriggio, come spesso accade, sono transitato lungo via Portafuga. Guardando attraverso il vetro opacizzato, ho visto Giampiero, il calzolaio, abbracciato ad un rassegnato termosifone portatile. Lo accarezzava come un bambino fa con l’orsacchiotto, per riuscire probabilmente a catturare con le sue temprate mani ogni minima folata di calore. Lo stesso calore che sprigionano i suoi occhi ormai stanchi, non sufficiente a riscaldare quel bugigattolo pieno di forme, di cuoio, di lesine, di trincetti, di raspe, di ricordi. Tre boccette a cavalcioni sul consumato banchetto, piene di tinta corvina, e quattro scatole accatastate in un angolo, vuote di futuro.
Ieri è stato infatti l’ultimo giorno di lavoro per Giampiero Catanzani, calzolaio storico della nostra città, testimone di quel mestiere genuino che è proprio degli artigiani d’un tempo. Da oggi quella bottega è chiusa. 89 anni ad aprile: mettece ‘na pezza, direbbe lui!
Nato nel quartiere di Monterone e, precisamente, a via Campo dei Fiori 19, laddove si mescolavano genuini sentimenti popolari, profumi di vita vissuta, grintose speranze. Il padre, Settimio, faceva il muratore a Baiano, mentre la madre, Maria Medici, dopo aver lavorato per anni al Cotonificio, si era ripiegata a fare la casalinga. Aveva dodici anni Giampiero quando, terminate le elementari alla Genga e a piazza XX Settembre, decise di smettere anche gli studi ed entrare, come ragazzo di bottega, dal quotatissimo calzolaio Paolo Restani, con laboratorio in piazza del Mercato. Un omone tutto d’un pezzo Paolo, con la bontà d’animo direttamente proporzionale alla sua statura. Era anche impegnato nel mondo sindacale, visto che aveva iniziato a dar vita alla locale Associazione Artigiani della città di cui, ovviamente, ne divenne presidente. L’adolescente Catanzani, soprannominato ‘U Negus per la sua carnagione marcatamente olivastra, iniziò così con l’addrizzare le bollette, lucidare le scarpe, ripulire gli attrezzi. Come collega aveva un altro giovane di belle speranze, un certo Mario Angeli, che abitava alla Ponzianina. Dopo qualche anno, la bottega si spostò in via Salaria Vecchia, proprio di fronte ai negozi di Bibetto, Sabatini e Rastelli. Giampiero, nel frattempo, si era sposato con una ragazza di San Giacomo, Costanza Novelli, e proprio nella Piccola Parigi la giovane coppia decise di andare ad abitare dove, dopo qualche tempo, arrivò anche la figlia Maria Grazia. Anche se erano gli anni del boom economico, dove le aspettative superavano di gran lunga le rassegnazioni, il mestiere del calzolaio incominciava a perdere la sua capacità attrattiva, soffocato dai nascituri esercizi commerciali di scarpe già confezionate a poco prezzo. Tre ciabattini in un solo locale incominciavano pertanto ad essere troppi, e così Giampiero, dopo undici anni, decise di spostarsi dal calzolaio in piazza Garibaldi, vicino all’alimentare Bellini. Si chiamava Mario Romani, tutti però lo conoscevano col soprannome di Canottu, già venditore di giornali in piazza della Libertà. Il 24 marzo del 1964, il grande passo: aprire un’attività tutta sua nel negozietto di via Portafuga. L’odore acre della pece, iniziò così a mescolarsi con l’accattivante profumo dei maritozzi che sfornava Rancini, il dirimpettaio pasticcere; con le esalazioni acidule delle lavorazioni di Tugni il tappezziere; con le nuvole speziate provenienti da Pecchiarda e con gli olezzi ferrosi di Neri e Scorsolini. Un’avventura lavorativa, quella di Giampiero, piena di aneddoti, di ricordi, di patimenti e di soddisfazioni.
La classica vita di un umile artigiano, che ha fatto del sacrificio e dell’onestà lavorativa il denominatore comune della sua esistenza. Tanta cera ha sparso su quelle “arsolature” e tanto mastice ha spalmato su quelle caustiche tomaie. Un mastice che, purtroppo, non è servito a tenerlo inchiodato ancora a quella sediola traballante dietro quel vetro opacizzato. È l’inesorabilità del tempo che stacca impietoso le certezze della nostra quotidianità. Buona vita caro Giampiero, ci mancherai”.