Alessandro Bertante ci racconta la nascita delle Brigate Rosse
Alessandro Bertante, finalista al Premio Strega 2022, ha scritto un bellissimo romanzo su un argomento scomodo: la nascita delle Brigate Rosse. Il suo protagonista, Alberto, è un giovane della borghesia milanese che, alla fine degli anni Sessanta, si avvicina ai gruppi di lotta armata, fino a sfiorare il baratro.
Come è nata l’idea del romanzo?
L’idea del romanzo nasce dal mio interesse per gli anni Settanta, sui quali ho già scritto due saggi, “Re Nudo” e “Contro il ’68”. Ma nel caso di “Mordi e fuggi”, sfruttando le potenzialità che la forma romanzo ci offre, m’interessava approfondire le motivazioni che hanno spinto molti ventenni alla scelta della lotta armata. Che è una scelta radicale e devastante dal punto di vista esistenziale. Mi interessava capire quale fossero le loro passioni, i loro ideali, quale energia etica motivasse una presa di posizione così irriducibile. E poi c’è stato un cortocircuito biografico quando ho scoperto che il palazzo dove c’era la comune di giovani da cui è nato il primo nucleo delle BR era a cento metri da dove abitavo io con la mia famiglia a Milano. Mi è sembrato un segno del destino.
Per quale motivo ha scelto il titolo “Mordi e fuggi”?
“Mordi e fuggi, colpirne uno per educarne cento” era una celebre massima del Presidente cinese Mao Zedong. Ed anche era il motto delle BR, il monito con il quale terminavano quasi tutti i volantini del primo periodo. Ed era anche la frase scritta sul cartello appeso al collo dell’ingegnere Macchiarini, il primo sequestro politico delle BR, immortalato nella celebre foto che viene considerata come simbolo dell’inizio della lotta armata in Italia.
MI sembrava un titolo di grande forza evocativa.
Che legame c’è tra la città di Milano e la fondazione delle Brigate Rosse?
Le Brigate Rosse nascono a Milano e per i primi due anni della loro storia operano esclusivamente nel capoluogo Lombardo e nella sua popolosa provincia industriale. Nelle fabbriche Pirelli e Sit-Simens e nei quartieri proletari come Giambellino, Lambrate o Quarto Oggiaro. Milano era una città molto diversa da adesso, l’immagine di smart metropoli non era nemmeno immaginabile, eppure rappresentava già allora l’avanguardia economico sociale in Italia, un laboratorio politico diremmo oggi. A Milano le contraddizioni di una classe operaia nella sua massima espansione rivendicativa, ma già con i primi segnali di crisi sistemici evidenti, dopo la Strage di Piazza Fontana dettero vita a diverse esperienze politiche di estremismo radicale.
Le Brigate Rosse furono la più importante.
Come ha costruito il personaggio di Alberto, che racconta in prima persona la sua storia?
Alberto Boscolo è un personaggio di finzione. Ma anche qui la storia degli anni Settanta è stata fonte d’ispirazione. Perché almeno due esponenti del nucleo storico delle BR non sono mai stati identificati dalla magistratura, neanche dopo decine di processi. Allora ho immaginato che Alberto potesse essere uno di questi brigatisti della prima ora che, alla fine della esperienza di combattente rivoluzionario, volesse ripercorrere la sua vicenda personale
Mio padre, poi, era di Lotta Continua e quindi in cinquant’anni di storie personali ne ho ascoltate tante. Il personaggio di Alberto nasce anche da quei racconti.
Cosa rappresenta il personaggio di Arturo, l’anziano amico di Alberto?
Arturo è un personaggio molto importante, rappresenta il filo rosso fra tre generazioni di combattenti rivoluzionari. Lui ha fatto la Guerra Civile Spagnola insieme agli anarchici, è un uomo saggio e oramai pacificato ma anche un uomo che sa riconoscere la passione politica. Si affeziona ad Alberto e alla fine sarà anche la sua ancora di salvezza.
Arturo è storia del Novecento con tutte le sue contraddizioni.
Perché quella del terrorismo rosso è una ferita ancora insanata nella storia di Italia?
Perché i responsabili politici e talvolta persino quelli materiali della Strategia della tensione non sono mai stati incriminati. E non parlo solo di servizi segreti ma anche di Forze Armate, magistratura, classe politica, imprenditori e vertici NATO. La verità storica la conosciamo, quella giudiziaria è stata frustrata e vilipesa troppo volte. Senza la Strage di Piazza Fontana non ci sarebbero state le Brigate Rosse, o perlomeno il fenomeno della lotta armata avrebbe avuto tutt’altra diffusione e importanza.
Lucia Romizzi