MARINO MAGLIANI, “Il cannocchiale del tenente Dumont”, L’orma editore
Libro finalista al Premio Strega 2022, questo bellissimo romanzo racconta di tre reduci dalla spedizione in Egitto di Napoleone che, dopo la battaglia di Marengo, disertano. E inseguono tra mille pericoli della Liguria il miraggio del mare. E di una nuova vita. Però qualcuno li osserva, perché in Egitto hanno scoperto una sostanza che annebbia le menti dei soldati, l’hascisc, e la loro esperienza potrebbe essere molto utile alla medicina del tempo…
1) Come è nata l’idea del romanzo? Per quale motivo ha scelto di ambientarlo nell’epoca napoleonica?
Ho sempre avuto una passione per Baudelaire, la sua frequentazione di cose un po’ estreme. Baudelaire ad esempio consumava l’hascisc, esattamente quell’hascisc che 50 anni prima i primi narcotrafficanti, reduci dalla campagna d’Egitto, avevano portato in Europa. Tuttavia, sarebbe stato pericolosissimo e indegno mitizzare l’hascisc, e Il cannocchiale infatti è il contrario di tutto questo, è una specie di manuale, anche se non dichiaratamente, per abbandonare l’hascisc, le costrizioni, le manette all’anima, è un percorso verso la libertà da guerre e inganni.
2) La diserzione dei tre protagonisti è il punto di partenza per il racconto di un viaggio che prima di tutto è interiore. Che significato assume in tale prospettiva il loro vagabondaggio?
Ogni passo che li avvicina, che avvicina Dumont a Porto Maurizio, sembra un passo verso la salvezza. Verso qualcosa che va oltre la meta, il vagabondaggio diventa dunque una specie di ricerca, non per Lemoine che coltiva i suoi segreti, non per Urruti che ha solo quella missione, su tutto, di ubbidire a Lemoine. Ma per Dumont sì.
3) Perché all’occhio dei personaggi lo splendido paesaggio ligure nel suo succedersi stagionale si carica di nostalgia e suggestione.
Forse la suggestione si fa tale proprio perché in realtà non può esserci nostalgia, loro non tornano da nessuna parte, attraversano terre mai viste, più esotiche ancora del deserto africano che hanno lasciato l’anno prima. La nostalgia in questo caso si fa mistero e suggestione come dice lei, perché è la nostalgia del futuro.
4) Alcune tra le pagine più belle sono quelle che descrivono gli incontri in carcere tra il tenente Dumont e il medico olandese Zomer. Come due uomini così diversi riescono a trovare una intesa così autentica?
Mi piace questa considerazione, nel senso che mi piace che lei, lettrice, li veda così distanti, diversi, certo lo sono, uno è un dottore, chirurgo di fama, l’altro un tormentato tenente di poco conto, di poco valore, tant’è che è un disertore, ma sono entrambi sognatori, entrambi desiderano un’altra vita, semplice, povera, una specie di riscatto e stacco dall’Europa delle guerre, delle pestilenze, della ferocia. Diventano amici in un romanzo senza amicizie.
5) Come ha costruito il bellissimo personaggio femminile della seconda metà del romanzo, un’epoca pragmatica e solida che neanche le epidemie così frequenti all’epoca riescono a scalfire?
Dovevo materializzare il sogno delle montagne di Dumont, Viozene e di là Chionea, Lunghi, e fin giù nelle piane lungo il Tanaro, dargli speranza.
Ringraziamo Marino Magliani per l’attenzione che ha dedicato a Spoleto7Libri e per le belle parole che ci ha dedicato. Speriamo veramente di averlo ospite a Spoleto per presentare il suo nuovo libro.
Lucia Romizzi