Intervista esclusiva a Gaetano Barreca, lo scrittore con Spoleto nel cuore

La nostra esperta di letteratura Lucia Romizzi ha intervistato per noi lo scrittore Gaetano Barreca  che nonostante viva e lavori a Londra ha ancora Spoleto nel cuore.

 

1) Gaetano, anche se da molti anni vivi e lavori a Londra, hai studiato a Perugia. Che ricordo hai dell’Umbria e di Spoleto in particolare?

 

Dell’Umbria ricordo con piacere i paesaggi e la bellezza dei suoi borghi. Di Spoleto, le passeggiate serali con gli amici sul Ponte delle Torri e la vista della Rocca Albornoziana illuminata. Il dialetto spoletino, che ho amato e imparato, le serate teatrali in vernacolo alla festa di Maria Bambina di Baiano, il Rigoletto al teatro della Concordia e le tante cene in osteria.

 

2) Come è nata la tua passione per la scrittura?

Sin da bambino ho sempre avuto una fervida immaginazione e con il mio amico d’infanzia passavamo intere giornate a creare racconti brevi a quattro mani. Li scrivevamo, disegnavamo una bella copertina e poi facevamo leggere le nostre storie ai familiari. Il racconto che più mi rimase impresso di quel periodo fu la nostra interpretazione in chiave romantica e tragica del mito di Medusa. Rammento questa in particolare perché dopo averla letta, mia zia ci chiese: “Perché Medusa giunta sul bordo di un crepaccio si uccide con un pugnale? Non poteva gettarsi e basta?” Cristian ed io ci guardammo stupiti e forse anche un po’ offesi da quel giudizio inatteso. Mia zia aveva ragione, ma con fare sicuro obiettammo che non avremmo potuto cambiare la storia, perché eliminare il pugnale avrebbe significato anche togliere drammaticità all’amore non corrisposto di Medusa.

 

3) Il tuo primo romanzo, “Dopo il funerale”, è ambientato tra Bari e Roma in un anno cruciale come il 1975. Perché questa scelta?

 

Dopo il Funerale è ambientato a dieci giorni dai funerali di Pier Paolo Pasolini e a un anno esatto dalla pubblicazione del suo articolo per il Corriere della Sera, Cos’è questo Golpe, Io So. Tra lobby di potere e servizi segreti deviati, nella sua tesi di laurea Luigi segue le stesse indagini di Pasolini, sul petrolio, e proprio il violento omicidio del Poeta riporta il protagonista a casa. Nel suo quartiere di Bari, pochi sanno dei complotti e degli attentati alla Repubblica che avvengono nella capitale e tra feste di vicinato, gare sui tacchi dodici e comizi di Berlinguer, Luigi prova a distrarsi e cercare riparo. Sarà qui il suo amico d’infanzia, Nicola, a ricordargli che ogni luogo ha i suoi compromessi. Mali, che Luigi aveva dimenticato.

Non ho vissuto gli anni ‘70, ma sono anni che per la loro portata storica mi hanno sempre affascinato. Scrivendo questo romanzo ho avuto la possibilità di studiare e intrattenermi con i miei personaggi in un tempo in cui il personale diventava politico e l’Italia aveva ancora il sapore di opportunità.

 

 

4) Nel romanzo presenti un particolare modello di economia sostenibile, sicuramente interessante in relazione alla situazione che stiamo vivendo. In cosa consiste?

 

È un inno all’amore per la propria terra. Luigi racconta di essere tornato in Puglia per fare ricerche sullo stato di compatibilità del modello di Comunità proposto dal senatore Adriano Olivetti con il proprio modello. Quest’ultimo era basato su un’economia in cui il patrimonio ambientale e umano si elevi ad attrattore turistico per creare una cultura sostenibile, che rispecchi il ruolo socio-economico del territorio. In un suo articolo, il protagonista richiama al dovere e l’importanza dei comuni pugliesi di favorire, oltre il bene dell’agricoltura, la cultura e il turismo come fonti di guadagno, abbandonando l’idea imposta da interessi politico-economici, di replicare le fabbriche del Nord nel proprio prospero territorio. Riferisce che queste politiche capitalistiche apparirebbero come decontestualizzate in Puglia, e indurrebbero alla speculazione edilizia e all’espansione delle aree industriali trasformando radicalmente il territorio, ora ricco di storia, di ipogei, casali antichi e chiese rurali, in distese di cemento e grigie ciminiere.

 

5) Nel tuo secondo libro, “La tagliatrice di vermi e altri racconti”, proponi un affascinante intreccio tra magia, superstizione e religione. Che ruolo possono avere queste componenti in un mondo sempre più tecnologizzato come quello contemporaneo?

È un ritorno alle origini, alla semplicità del vivere con pochi mezzi, alle storie e vicende che i nostri nonni amavamo raccontare attorno al braciere. Benché il mondo sia evoluto, non abbiamo mai smesso di raccontare storie e ricordarci da dove veniamo, come i nostri avi abbiano vissuto in determinati periodi storici proteggendosi con amuleti o esorcizzare le paure con storie di terrore, non può far altro che renderci più coscienti della nostra storia. Credo che tutto ciò aggiunga valore alla nostra istruzione e dia quel tocco di magia alla nostra esistenza.

 

6) Le “tagliatrici di vermi” erano guaritrici. Che ruolo avevano queste donne nel mondo popolare e contadino?

Le guaritrici erano, e sono, donne a cui durante la notte di Natale è stato rilasciato il Dono. Queste erano parte integrante del tessuto sociale. Donne, ma anche uomini, con il “sapere”, a cui affidarsi per guarire mali come la verminosi nei bambini, le colichette, o il fuoco di sant’Antonio. C’erano poi altre guaritrici che sapevano riparare le fratture e guarire gli animali. Anche se in nome della razionalità non crediamo a questi riti, la medicina moderna ha base in quella popolare. Oggi sappiamo, per esempio, che nel rito del taglio dei vermi, oltre preghiere e massaggi che servivano a distendere il bambino ed eliminare ogni traccia di flatulenza, si usava uno spicchio d’aglio, che ha effetto vermifugo.

 

7) Scrivi che, ogni volta che puoi, torni in Italia alla ricerca dell’incanto dei piccoli borghi. Cosa ti trasmettono?

 

I borghi sono qualcosa che è preesistono alla mia nascita e richiamano in me un senso di certezza, sicurezza, di pace, di tempo sospeso e, a volte, di raccoglimento. Ma allo stesso  modo questi vibrano di vita, di senso di comunità, di unione, accoglienza e famiglia. I borghi non sono mai identici, e io mi lascio affascinare dalle loro unicità. Unicità che sanno di nuovo, di scoperta. Luoghi degni per persone curiose come me, che amano esplorare  luoghi, tradizioni, voglia di scoprire odori, architetture e storie nascoste che attendono ancora di essere raccontate o riportate alla luce.

One Response

  1. Ho trovato molto interessante l’intervista e di particolare intensità le descrizioni dei borghi umbri.
    Forte è il mio legame, viste le origini paterne, con la terra pugliese e le sue tradizioni ancestrali.

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