Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Mario Bravi, presidente dell’Ires-Cgil.
Il lavoro che c’è è sempre più povero e precario. È un fenomeno nazionale (lo confermano le ultime rilevazioni Istat), che anche quando parlano di lieve aumento dell’occupazione non possono non associarlo alle diminuzione delle ore lavorate e al dilagare del part time e del lavoro povero e precario). L’Umbria da questo punto di vista continua ad avere dati peggiori della media nazionale. Infatti, dall’ultimo studio dell’Osservatorio nazionale sul precariato dell’Inps, relativo ai primi 6 mesi dell’anno in corso (gennaio-giugno 2019), emerge che i contratti attivati sono 43.186 mentre quelli cessati sono 33.584. Sembrerebbe un dato positivo, in realtà non lo è e questo per 2 ragioni:
1) I contratti attivati sono in gran parte caratterizzati da provvisorietà e precarietà. Infatti, tenendo conto anche delle trasformazioni, solo 11.622 sono a tempo indeterminato (meno del 25%). Questo significa che in gran parte dell’anno molte persone sono costrette ad attivare più contratti. Infatti, il ministero del Lavoro ha calcolato che, nel secondo trimestre 2019, i lavoratori interessati all’attivazione di nuovi contratti (in Umbria) sono diminuiti dello 0,6.
2) Inoltre, nel corso dell’anno 2019 stiamo assistendo ad una costante riduzione delle assunzioni a tempo indeterminato nella nostra regione. Infatti, le attivazioni a tempo indeterminato in Umbria sono state 1.893 nel mese di gennaio, 1.210 nel mese di febbraio, 1.177 nel mese di marzo, 1.028 nel mese di aprile, 1.058 nel mese di maggio e solo 760 nel mese di giugno. Praticamente, nel solo arco di 6 mesi le assunzioni a tempo indeterminato si sono più che dimezzate in Umbria.
Questi dati dovrebbero far riflettere tutti con l’obiettivo di individuare strumenti seri di politica economica che rimettano al centro il valore e la dignità del lavoro!