Si è conclusa con la Messa in Duomo celebrata dall’Arcivescovo la Festa delle Comunità del Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani, che ha visto nella Città del Festival, per tre giorni, oltre 1200 persone col fazzolettone al collo.
Con una solenne concelebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo in Duomo, si è conclusa domenica 14 ottobre la Festa delle Comunità che il MASCI (Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani) ha vissuto a Spoleto. Tre giorni – dal 12 al 14 ottobre – in cui oltre 1200 adulti Scout, in rappresentanza di oltre 200 comunità italiane, hanno rafforzato le loro motivazioni di servizio personale e comunitario verso il prossimo, dell’impegno come testimonianza civile e cristiana.
La grande Cattedrale spoletina era piena in ogni settore: gli oltre 1000 posti seduti non sono bastati; e allora gli Scout hanno aperto i loro sgabelli tra le navate e alcuni addirittura si sono accomodati sugli scalini degli altari laterali. Con mons. Boccardo hanno concelebrato: mons. Luigi Piccioli, Vicario generale; don Sem Fioretti, rettore del Duomo; mons. Guido Lucchiari, assistente ecclesiastico nazionale del MASCI; altri sacerdoti vicini al Movimento. La liturgia è stata animata nel canto dal coro parrocchiale di S. Gregorio, con l’aggiunta di alcuni Scout. La Città di Spoleto era rappresentata dal presidente del Consiglio comunale Sandro Cretoni e dall’assessore alla cultura Ada Spadoni Urbani. Naturalmente presente Sonia Mondin, presidente del MASCI, vero motore di questa tre giorni.
All’inizio della Messa mons. Lucchiari, a nome di tutti gli Scout presenti, ha ringraziato l’Arcivescovo e i rappresentanti istituzionali per la calorosa accoglienza ricevuta a Spoleto. «In questi tre giorni, nelle attività in varie piazze della Città e negli incontri nei Teatri, abbiamo riflettuto su come superare paure, angosce, sospetti e pregiudizi e su come ripensare i legami relazionali tra di noi».
Nell’omelia mons. Boccardo ha ricordato agli Scout del MASCI come «Gesù propone ad ogni discepolo un tesoro che non è possibile acquistare, che non si ottiene con un benessere che lascia insoddisfatti. La sequela è anche separazione da qualcosa di nostro. È difficile separarci da quello che abbiamo, anzi molti vivono per possedere, spendono energie e sostanze unicamente per il proprio interesse; la vita dei poveri, la miseria di molti non li tocca, non li muove a compassione. Oggi si fa fatica a rinunciare a qualcosa, anzi soprattutto nella crisi abbiamo paura di perdere l’agio e le comodità in cui siamo vissuti. Così la misura è il calcolo, e la paura genera la diffidenza nei confronti degli altri, specialmente dei poveri e dei migranti.
Il seguimi di Gesù – ha proseguito – è un invito a vivere in maniera pienamente umana, a diventare grandi nell’amore, a respirare la libertà del dare gratuitamente come gratuitamente abbiamo ricevuto, ad imitare colui che è venuto non per essere servito ma per servire. È questa anche la “filosofia” del MASCI, impegnato nel grande gioco della vita con le coordinate dello scoprire e del servire, che conducono a “fare strada” con le tre C: fare strada nel cuore (scegliere cioè la via della crescita spirituale); fare strada nel creato (cioè scegliere di vivere in mezzo alla natura senza divinizzare né la natura né la scienza); fare strada nella città (cioè scegliere di dare voce agli ultimi, a quanti portano le ferite della vita, ai dimenticati dalla società).
Con il metodo dell’imparare facendo (che non è solo l’individuale fai da te, ma un fare con i fratelli in una comunità e con un metodo comune), si scopre che l’educazione è innanzitutto una disciplina interiore, che richiede la durata nell’impegno, la costanza nelle scelte morali di fondo, la capacità di sognare anche da adulti. Perché non ci si può mai sentire arrivati, non ci si può mai accontentare delle esperienze fatte; bisogna affrontare sempre di nuovo la fatica di “buttare il cuore oltre l’ostacolo” e di dare parole e ali alla speranza.
Allora la pista, il sentiero, la strada, diventano parabole di una esistenza interpretata come avventura, con mete alte che favoriscono la crescita della persona e suscitano la capacità di appassionarsi alla vita, di imparare giocando, di vincere le paure, di vivere il servizio come cambiamento, di costruire ponti là dove altri vorrebbero erigere muri».
Prima della benedizione finale è stata consegnata una targa ricordo della tre giorni di Spoleto a tutte le delegazioni regionali.
La mattinata, poi, si è conclusa con un ulteriore momento di festa in Piazza Duomo, allietata dagli sbandieratori di Gubbio.