Celebrazione a Norcia a un anno dai terribili terremoto con il cardinale Parolin, segretario di Stato Vaticano
«Il terremoto tra il 26 e il 30 ottobre 2016 sconvolse il normale ritmo della vita di queste terre, ricche d’arte, di bellezze paesaggistiche e di tradizioni culturali, che hanno trovato la loro più solida ispirazione nella fede cristiana. Una fede vissuta e testimoniata lungo i secoli, che ha modellato il volto di queste colline e di questi spazi, che favoriscono il raccoglimento e la contemplazione, e che ha plasmato tanto le coscienze quanto le architetture delle vostre piazze e delle vostre chiese».
Con queste parole il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, ha avviato l’omelia nella piazza S. Benedetto a Norcia, dinanzi alla facciata ingabbiata della basilica, crollata, del Santo patrono d’Europa. Il Porporato è giunto a Norcia alle 10.50, dopo una sosta nel Palazzo Arcivescovile di Spoleto dove è stato accolto dall’arcivescovo Renato Boccardo e dove ha ammirato la maestosa cattedrale. Con Parolin hanno concelebrato: mons. Boccardo, il vicario generale mons. Luigi Piccioli, il parroco di Norcia don Marco Rufini, il priore dei benedettini padre Benedetto Nivakoff, sacerdoti diocesani e religiosi della Valnerina. La liturgia è stata animata dalla corale parrocchiale di Norcia; il servizio liturgico è stato curato dal cerimoniere arcivescovile don Edoardo Rossi, coadiuvato dai seminaristi. Presenti molte autorità civili e militari, ad iniziare dal presidente della Giunta regionale dell’Umbria Catiuscia Marini e dal sindaco di Norcia Nicola Alemanno. Sul palco dove è stato allestito il presbiterio, dinanzi alla Castellina, è stata posta l’immagine della Madonna Addolorata tanto venerata a Norcia ed estratta dalle macerie in modo provvidenziale la sera del 29 ottobre 2016, a poche ore dalla forte scossa che ha distrutto tutto. Molti i fedeli giunti da tutta la Valnerina.
L’arcivescovo Boccardo ha salutato il card. Parolin con queste parole: «Siamo la popolazione del terremoto, che convive da un anno con questo ospite scomodo e le sue conseguenze. La sua presenza ci porta la carezza del Papa, che in questi mesi tante volte e in molti modi ci ha manifestato vicinanza e sollecitudine: dica a Papa Francesco da parte nostra un grande grazie, profondo e commosso. Fanno da pareti perimetrali della piazza che ci accoglie, divenuta oggi chiesa a cielo aperto, la Concattedrale di Santa Maria Argentea, la Basilica di San Benedetto e il Palazzo del Comune, monumenti di storia e di fede con i quali si intreccia la memoria e la vita di queste popolazioni. Questi muri gravemente danneggiati rappresentano in un qualche modo tutte le ferite inferte dal terremoto alle persone, alle relazioni, alle case, alle aziende, alle chiese e agli edifici pubblici; ferite che – seppur parzialmente e sporadicamente curate – ancora non possono diventare cicatrici perché si esperimenta ogni giorno la carenza o il ritardo di cure efficaci e risolutive, la fatica dell’attesa, la tentazione dello scoraggiamento e della rinuncia. I cristiani sanno e credono che, risorgendo da morte, Cristo Signore ha debellato ogni forma di male e ha restituito ai deboli la forza, agli sfiduciati la speranza, ai dispersi l’unità. Grazie, Eminenza, perché è venuto a pregare con noi e per noi in questa Eucaristia».
«Il terremoto manifesta – detto Parolin nell’omelia – una di quelle forze distruttrici che non si possono prevedere che ci ricorda che, anche se possiamo fare molto per arginarne gli effetti, la nostra esistenza rimane soggetta all’immensità delle forze cosmiche. Ci ricorda soprattutto che il creato – splendido e degno della nostra ammirazione – rimanda al Creatore e che l’essere umano è nelle sue mani, condotto da Lui ad un destino definitivo di salvezza, di pace e di felicità, laddove non vi saranno né i terremoti del suolo né le angosce dell’anima e tutti approderemo alla meta. La facciata di questa Basilica, ingabbiata nei ponteggi della ricostruzione, è l’emblema del sisma, ma è ancora di più la prova della capacità dell’essere umano di risollevarsi, di tornare a sperare, a guardare in alto verso il Cielo e, con la forza di questo sguardo, tornare verso la terra e porre tutta l’intelligenza, la maestria, la fantasia e l’impegno al servizio di un corale riscatto, per risollevare, insieme alle mura delle case, dei luoghi di lavoro e delle chiese, anche il morale delle persone e delle comunità e la gioia di vivere».
«A seguito delle calamità naturali, dopo che si sono scatenati gli elementi, – ha proseguito il card. Segretario di Stato – si è scatenata anche la generosità, l’altruismo, la corsa a donare il proprio tempo, le proprie energie e il proprio denaro per essere d’aiuto alle persone più colpite e bisognose. In quei frangenti l’insieme dei pubblici poteri, in sinergia con le associazioni della società civile ed i singoli, si sono impegnati in un’azione congiunta per portare i soccorsi. Penso in concreto all’impegno delle differenti istituzioni pubbliche a partire dalla Protezione Civile, dal Corpo dei Vigili del Fuoco e dai diversi enti locali e statali, alla solidarietà manifestata alla Chiesa di Spoleto-Norcia da parte del Santo Padre, da parte della Santa Sede, da diverse Diocesi e dalla Conferenza Episcopale, penso alla generosità di parrocchie, istituti ed associazioni religiose e, in modo speciale, al sostegno e alla vicinanza a voi mostrata dalla Caritas diocesana e nazionale. Penso ai tanti privati cittadini che hanno dato il loro fattivo contributo. Significativo è stato poi l’impegno delle massime istituzioni europee a finanziare l’opera di ricostruzione di questa Basilica, riconoscendo implicitamente il ruolo insostituibile per l’Europa del Cristianesimo e della cultura che ha saputo ispirare».
Poi l’appello di Parolin: «Da questo luogo così altamente simbolico faccio appello a tutte le istituzioni civili, ecclesiali e private perché cooperino con alacrità e costanza, in sintonia con le popolazioni interessate, affinché, quella sinergia dimostrata nei primi tempi dopo il sisma continui e, anzi, si intensifichi, in modo da portare a termine le opere progettate e quelle avviate, snellendo nei limiti del possibile le procedure. Si compia in tal modo ogni sforzo per evitare lo spopolamento di diversi borghi, ripetutamente feriti dagli eventi tellurici, che li hanno coinvolti in questi decenni, con crolli e diffuse lesioni. Auspico pertanto una corale e decisa azione che muova risorse e intelligenze per ricostruire, insieme alle case e alle Chiese, anche l’animo delle persone, per sconfiggere la paura e la rassegnazione, due calamità invisibili, eppure gravi quasi quanto un terremoto».