La classe non è acqua e neppure la questione morale!

In questi ultimi anni è andata crescendo la consapevolezza di molti italiani sull’impresentabilità di alcuni personaggi che hanno dedicato la loro vita a far politica.
Questa presa di coscienza paga però un prezzo alla superficialità con la quale vengono visti e fatti vedere i problemi che ruotano attorno alla politica ed al fare politica.
Rischiando di essere banale, voglio esplicitare due problemi che se non affrontati e risolti, rendono inefficaci i tentativi di superare in senso positivo questa situazione.
Il primo riguarda l’idea che “far politica” sia necessariamente appannaggio di pochi.
Un mestiere come un altro (ma molto più remunerativo !) per il quale occorrano lauree, master ed esperienze manageriali.
La condizione necessaria ed imprescindibile per fare politica con consapevolezza (fanno politica, ma non lo sanno, anche coloro che rifiutano di parlarne) è invece la coscienza di classe, intesa come l’analisi della propria posizione sociale ed il sapersi e vedersi parte di un gruppo (una classe, appunto) contrapposto per interessi ad altri, in una lotta per la conquista e la gestione del potere, per cambiare o mantenere la situazione esistente.
Siamo dunque TUTTI chiamati, qualsiasi sia la classe di appartenenza, a questa assunzione di responsabilità e ad un impegno attivo.
Non farlo si traduce inevitabilmente nella delega ai professionisti della politica, che cosi si fanno classe e lottano inevitabilmente per il mantenimento dei propri privilegi e potere.
Il seconda riguarda la questione morale della quale si tende, volutamente a darne una visione riduttiva , spostando l’attenzione dal “modo con il quale viene gestito il potere” al “rubare”.
A tale proposito, con la premessa forse troppo benevola (in fondo sono un sentimentale) che Berlinguer all’epoca rivolgeva la sua critica agli altri senza immaginare che la degenerazione avrebbe poi interessato anche i suoi eredi, rimando all’intervista rilasciata a Scalari e pubblicata sulla Repubblica del 28 luglio 1981 (http://www.storiaestorici.it/public/allegati/files/39.pdf) limitandomi a riprenderne solo la parte in cui affermava:

“I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero.
Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune.
La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”.

… omissis …

“I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo.
Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali.”

“Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire.
E il risultato è drammatico.
Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica.
Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.”

Io che non ho cambiato idea circa la società che vorrei si realizzasse e che ho militato attivamente in due partiti (PCI e RC) mi rendo conto dell’impossibilità di riformare dall’interno queste organizzazioni che pure sono lo strumento con il quale una classe cresce e si afferma culturalmente e politicamente.

Ne occorrerebbero di nuovi, evitando facili scorciatoie per una rappresentanza parlamentare che ne rappresenta solo il mezzo e non il fine.
Anche dove ritrovo programmi con contenuti condivisibili, mi trovo liste con quei professionisti della politica che nessun interesse hanno a far diventare classe i loro elettori.

Ma come diceva Antonio Gramsci, più conosciuto nel mondo che in Italia: “Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà” esattamente il motivo con il quale continuo ad impegnarmi fuori da qualsiasi partito oggi esistente.

Antonello Briguori