La faccenda risale al 1994, eppure le sue conseguenze sono vive ancora oggi. Si tratta di un caso di malasanità e nello specifico di quello del sangue infetto che provocò effetti devastanti in tutta Italia.
All’epoca, la Finanza sequestrò a Padova quantità di plasma contaminata dai virus dell’Hiv e dall’epatite proveniente da zone a rischio come la Romania, l’Africa e altri luoghi. Tale plasma veniva venduto a prezzi stracciati e senza alcun controllo. Secondo le indagini, a dare il via al traffico sarebbe stato Poggiolini, dirigente del Ministero della Salute, in accordo con le case farmaceutiche.
I numeri delle persone coinvolte erano da vertigine: 400 malati in tutta Italia, 2609 morti e 300 malati solo nella nostra regione. E proprio qui sono 253 i richiedenti e 107 gli indennizzati, anche se sarebbe più corretto qualificare quest’ultimi come persone in lista per essere risarciti.
Oggi, molte delle vittime sono morte e tocca ai familiari continuare a scontare la beffa dello Stato e del sistema sanitario pubblico: si profila infatti il rischio di prescrizione per i processi penali e il taglio dei fondi destinati al Ministero della Salute per il risarcimento. Il reato è di omicidio colposo plurimo aggravato e sabato si terrà la prima udienza, ma l’ipotesi della prescrizione aleggia come un corvo nero su tutte le vittime e sui loro familiari.
Ma non basta: un decreto ministeriale del governo Monti ha escluso dal risarcimento i familiari dei deceduti che avevano iniziato una causa dopo oltre 10 anni dal decesso del defunto. Novità, inoltre, anche per quanto riguarda le tabelle per il risarcimento: 400mila euro in caso di morte (9 anni fa erano più di 600mila); da 27mila a 182mila euro (nel 2003 erano 380mila, come somma minima) per quelli ancora in vita. Inoltre, per chi ha percepito l’indennizzo, la Cassazione ha stabilito un limite: il risarcimento c’è, ma solo se la causa del contagio non è anteriore al ’67 e 5 sono gli anni concessi per fare causa a partire da quando è stata fatta la domanda di indennizzo.