Di Alfonso Marchese
Più freddezza. E meno emozioni. Non foss’altro per salvaguardare la capacità d’analisi e predisporre ogni mossa in caso di contrattacco. Il consiglio d’amministrazione della Banca Popolare di Spoleto ha agito troppo in fretta nella decapitazione del suo direttore generale Pallini. Avrebbe dovuto essere più cauto. Rinviando la resa dei conti al momento opportuno. A maggior ragione se su Pallini era caduto il sospetto che egli potesse avere tramato con il suo ex capufficio di Bankitalia, a capo del drappello di ispettori mandati da Roma. Perché? Questo non si sa. L’unica cosa certa è la censura sul presidente Antonini, che per Bankitalia deve abbanadonare la poltrona. Entro il giorno 16 prossimo. Viceversa, si procederà con il commissariamento dell’istituto di credito spoletino.
L’interrogazione dei 24 parlamentari al ministro Tremonti, per sapere cosa sia successo realmente, contiene un dilemma di non poco conto: perché gli ispettori hanno avuto da ridire su Antonini e su Pallini no? Forse che il direttore generale non sia corresponsabile quanto il presidente delle eventuali anomalie riscontrate? Il sospetto scaturisce proprio da qui.
Ma anche nell’ipotesi che Pallini abbia voluto giocare un brutto tiro al suo presidente, approfittando della sua familiarità con gli ispettori, sarebbe stato più opportuno attendere l’evoluzione dei fatti. Aspettare che ai marosi subentrasse una fase di bonaccia. Per poi decidere su quale strada imboccare. Invece, con la decapitazione di Pallini ci si è fatto un altro nemico giurato. Ammesso e non concesso che vi sia un “complotto” ai danni dell’attuale presidenza della Bps.
Bisogna ricordare che il potere di Bankitalia è equivalente a quello dei magistrati. Il cui compito è, codice alla mano, accertare se vi sia stata violazione di articoli di legge. Con un’aggiunta: ogni provvedimento preso deve essere motivato e suffragato da prove. E ciò contro l’arbitrarietà.
Insomma, il cda è stato frettoloso. Proprio come la proverbiale gatta.